OPR Gallery // Marinos Tsagkarakis

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LOWLANDS
Marco Gobbi – Domenico Antonio Mancini – Piero Roi – Marinos Tsagkarakis

Curated by PHROOM
Critical text by Matteo Cremonesi

Office Project Room è lieta di presentare “LOWLANDS”, progetto espositivo curato da PHROOM che vede in mostra opere di Marco Gobbi, Domenico Antonio Mancini, Piero Roi e Marinos Tsagkarakis.

L’esposizione vede quattro autori la cui pratica e percorso artistico risultano eterogenei sotto ogni punto di vista, dialogare attorno alla rappresentazione del paesaggio inteso come descrizione di un territorio sociale, economico, politico e poetico.
Avvicinando la rappresentazione del territorio a partire dalle peculiarità proprie dei percorsi di ognuno degli autori in dialogo, emerge una riflessione corale che trova, fra la nostalgia per un passato mitico, (Marco Gobbi), una puntuale riflessione attorno alla memoria storica ,(Domenico Antonio Mancini), l’interrogazione intima ed esistenziale, (Piero Roi) e un indagine attorno agli effetti prodotti dalla crisi economica del 2009 in Grecia, (Marinos Tsagkarakis), un racconto del presente e delle attese verso il futuro che fa pensare o presagire l’avvento di una nuova era oscura.

Critical essay:

“Il progetto del neoliberismo di proporsi come sistema economico e sociale “naturale” è, dunque, riuscito perfettamente. Non solo in economia, dove Milton Friedman aveva descritto il libero mercato come infallibile perché mosso appunto da forze, a suo dire, “naturali”, ma anche negli ambiti della vita sociale e privata. E dunque, diventano “naturali” le mostruose diseguaglianze, lo smaltimento dello stato sociale, le discriminazioni, le privatizzazioni, il consumo di massa e l’individualismo.”    Realismo Capitalista – Mark Fisher

“La coscienza di un mondo reale e dotato di significato è legata intimamente alla scoperta del sacro. Mediante l’esperienza del sacro lo spirito umano ha colto la differenza tra ciò che si rivela reale, potente, ricco e dotato di significato, e ciò che è privo di queste qualità: il flusso caotico e pericoloso delle cose, le loro apparizioni e le loro scomparse fortuite e vuote di significato” – “Il sacro è insomma un elemento nella struttura della coscienza, e non è uno stadio nella storia della coscienza stessa”. “Ai livelli più arcaici di cultura vivere da essere umano è in sé e per sé un atto religioso, perché l’alimentazione, la vita sessuale e il lavoro hanno valore sacrale – in altre parole essere o divenire – un uomo significa essere religioso.”   La nostalgie des Origines 1969 – Mircea Eliade

E’ difficile rendere il senso di smarrimento che un ascolto attento del circostante e dell’attuale rende sulle impressioni del paesaggio attorno a noi.
La pressoché’ totale mancanza di alterità’ a fronte di una sempre maggiore disponibilità di stimoli ed esperienze sono solo uno dei sintomi di una desertificazione in atto e che a partire dal malessere economico, dalle sue depressioni, inficia la stessa descrizione e alfabetizzazione del mondo e delle sue possibilità. Quasi che, al termine di questo interminabile contrattare fra un umanità sempre più in difficoltà e la descrizione di uno schizofrenico intrattenersi con espressioni mai realmente dissimili ci scopriremo abitare nuovamente un medioevo.

Nel “il tempo dei lupi” film di Michael Haneke uscito nel 2003, in un tempo abbastanza vicino a quello presente una famiglia che ha lasciato la città a causa delle forti tensioni sociali prende a vagare per la campagna. Ha così inizio un’odissea ambientata in una no man’s land in cui non filtra quasi mai la luce del sole. Haneke immagina un apocalisse resa tale dall’impossibilità di comunicare. A descrivere l’incubo di Haneke sono il silenzio e la mancanza di luce. Un esperienza del paesaggio il cui l’attraversamento evoca memorie di un tempo dell’uomo in cui non ha ancora il dominio assoluto sulla natura.
Mentre acqua e il cibo diventano i quotidiani pensieri delle persone la mancanza di dispositivi e apparati di comunicazione lascia la stessa comunità cali in un medioevo espressivo ed esperenziale in cui l’uomo cede il passo alle tenebre e ai suoi racconti. Ribaltando le narrative immaginate da Michael Haneke ne il tempo dei lupi le teorie apocalittiche più in voga oggi non trovano la loro genesi in un blackout o in una sospensione della possibilità di comunicare, ma, piuttosto (e sono in molti ad immaginarlo in questo modo), nel suo esatto opposto, piuttosto nel continuare a sostenere l’incalzante ritmo di una comunicazione che tutto mostra e nulla permette di conoscere, sino ad un impoverimento generale della vita tale da riportarci a intuire questo tempo quale una Dark Age.

Abitando un paesaggio sempre meno ricco. Intrappolati in un impotenza espressiva e cognitiva, le nostre voci hanno ormai perso la capacità di produrre un segno significativo.
Le intuizioni connettive maturate a Berkeley dal free speech libertario e con le tecnologie connettive hanno dato vita ad una mente post-alfabetica,il cui schizofrenico segno ha fatto dell’iper espressione un metodo sublime per irretire ogni criticità’ sino a tratteggiare il profilo di un meta-paesaggio nel quale a tutti gli effetti vivere una vita affianco alla vita.
Le culture alternative e sperimentali del secondo novecento hanno perso appeal vedendo nel mentre della loro capitolazione crescere un coro di idiozia e populismo.
Un mondo – quello online – ha impoverito il rituale linguistico sino a devastare totalmente i rapporti di senso e significato, la ragione politica e sociale sono divenute voci di un orientarsi di cui si e’ smarrito il senso.
Il risultato, quel che rimane, e’ un flusso di linguaggio che travolge la facoltà di maturare razionalmente la propria condizione e minare l’esperienza emotiva sino a elaborare forme di autismo tali da rendere impossibile qualsiasi conversione, sino a rendere necessariamente povera e infantile qualsiasi narrazione.

“La tempesta di merda – shitstorm, termine coniato dal filosofo Bjung Chul Han – è la forma generale della comunicazione nell’infosfera ipersaturata. Innumerevoli tempeste di merda, sommandosi, hanno trasformato l’Infosfera globale in uno tsunami di merda che ha disattivato l’universalismo della ragione, ridotto la sensibilità e distrutto i fondamenti del comportamento etico.” (Franco Bifo Berardi)

Una quantità innominabile di stimoli hanno trasformato il paesaggio globale sino a renderlo saturo, impossibile, impraticabile, come di fronte o dentro un enorme massa/blob, impotenti abbiamo disattivato l’universalismo delle singolarità, riducendo e rinunciando alla sensibilità individuale, la sua disposizione all’indipendenza pedagogica e alla costruzione di criticità.
Azzerando le capacita’ prospettiche dell’umanesimo e dell’illuminismo cosi’ come l’eredita del socialismo, Il mondo impoverito s’avvia ad essere esperito per esecuzioni, automatismi, burocrazie, protocolli narrativi, norme, economie, sintesi, ruoli, abitudini, funzioni, regole plasmate secondo le esigenze del modello neoliberista il cui tramonto come ricorda Mark Fisher rimane nell’impensabile. E il paesaggio, la sua impressione, la sua esperienza, la sua ruvidità, forse ritornano ad essere il luogo antico del divenire in uno scontro e confronto fra esperienza ed espressione.

Office Project Room is proud to present “LOWLANDS”, an exhibition curated by PHROOM with works by Marco Gobbi, Domenico Antonio Mancini, Piero Roi and Marinos Tsagkarakis.

The exhibition sees four authors whose practice and artistic path are heterogeneous from every point of view, dialoguing around the representation of the landscape as a description of a social, economic, political and poetic territory.
Approaching the representation of the territory starting from the peculiarities of the paths of each of the authors in dialogue, emerges a choral reflection that finds, among the nostalgia for a mythical past, (Marco Gobbi), a precise reflection around the historical memory, (Domenico Antonio Mancini), the intimate and existential questioning, (Piero Roi) and an investigation around the effects produced by the economic crisis of 2009 in Greece, (Marinos Tsagkarakis), an account of the present and expectations towards the future that makes us think or foreshadow the advent of a new dark era.

Critical essay:

“The project of the neoliberaism to propose itself as a “natural” social and economic system has, therefore, perfectly succeeded. Not only in economics, where Milton Friedman had described free market as infallible because moved by forces, as he told, “natural”, but even in private and social life sphere. And therefore become “natural” the hideous inequalities, the dissipation of social status, the discriminations, the privatizations, the mass consume and individualism.”   Capitalism Realism – Mark Fisher

“The awareness of a real world provided with significance is intimately tied to the discovery of sacred. Through experience of sacred, human spirit has taken the difference between what reveals as real, powerful, rich and equipped with significance, and what lacks these qualities: the chaotic and dangerous flux of things, their apparitions and their fortuitous and meaningless disappearances” – “Sacred is in short an element in the structure of conscience and not a stage in the history of the conscience itself” “At the most archaic levels of culture living as a human being is a religious act, because nutrition, sexual life and work have sacred value – in other words – being or becoming a man means being religious.”   La nostalgie des Origines (1969) – Mircea Eliade

It is difficult to convey the sense of loss that a careful listening to the surrounding and the present makes on the impressions of the landscape around us.
The almost ‘total lack of otherness’ colliding with an ever greater availability of incentives and experiences are only one of the symptoms of an ongoing desertification that, starting from economic malaise and its depressions, invalidates the description and literacy of the world and of its possibilities. Almost that at the end of this interminable negotiation between a humanity increasingly in difficulty and the description of a schizophrenic entertaining with expressions that are never really dissimilar, we will find ourselves living again in the Middle Ages.

In “Le temps du Loup”, film by Michael Haneke released in 2003, in a time quite close to the present one, a family that has left the city due to strong social tensions starts wandering through the countryside. Thus begins an odyssey set in a no man’s land where the sunlight almost never filters. Haneke imagines an apocalypse made possible by the inability of communicating. Silence and lack of light describe Haneke’s nightmare. An experience of the landscape whose crossing evokes memories of a man’s time in which he doesn’t yet have absolute dominion over nature.
While water and food become people’s daily thoughts, the lack of communication devices leaves the community itself in an expressive and experiential Middle Ages in which man gives way to darkness and its stories. Reversing the narratives imagined by Michael Haneke in “Le temps du Loup”, the most popular apocalyptic theories today do not find their genesis in a blackout or in a suspension of the possibility of communicating, but rather (and many imagine it in this way) , in its exact opposite, by keeping on supporting the pressing rhythm of a communication that shows everything and allows us to know nothing, up to such a general impoverishment of life that brings us back to perceive this time as a Dark Age.

Living in an increasingly less rich landscape, trapped in an expressive and cognitive impotence, our voices have now lost the ability to produce a significant sign. The connective insights gained in Berkeley from libertarian free speech and with connective technologies have given life to a post-alphabetic mind, whose schizophrenic sign has made hyper-expression a sublime method to trap every criticality up to outline the profile of a meta-landscape in which live a life next to life.

The experimental and alternative cultures of the second half of the twentieth century have lost appeal seeing in the meantime of their capitulation a growing choir of idiocy and populism.
A world – the online one – that has impoverished the linguistic ritual up to devastating the relations of sense and significance. The political and social reasoning have becoming voices of an orientation of which the sense is lost.
The result, what stays, is a language flux that overwhelms the faculty of rationally maturating one’s condition and undermine the emotional experience to develop forms of autism such as to make impossible any conversion, up to making necessarily poor and childish every form of narration.

“Shitstorm, term coined by Byung Chul Han, is the general form of communication in the hypersaturated infosphere. Countless storms of shit, adding up, have transformed the global Infosphere into a shitty tsunami that has deactivated the universalism of reason, reduced sensitivity and destroyed the foundations of ethical behavior.” (Franco Bifo Berardi)

An unmentionable quantity of stimuli have transformed the global landscape up to making it saturated, impossible, impracticable, as in front or within a blob/mass. Powerless we deactivated the universalism of singularities, reducing and giving up individual sensitivity, its disposition to pedagogic independency and to construction of critical issues.

By eliminating the prospective abilities of Humanism and Illuminism as well as the heritage of socialism, the impoverished world starts to be experienced through executions, automatisms, bureaucracies, narrative protocols, norms, economies, synthesis, roles, habits, functions, rules shaped according to the needs of the neoliberal model whose decline, as Mark Fisher recalls, remains in the unthinkable. And the landscape, its impression, its experience, its roughness, perhaps return to being the ancient place of becoming, in a clash and confrontation between experience and expression.